La DesignWeek milanese raggiunge la dimensione del gusto grazie all’opera in cioccolato e pietra CAV(E)A, ideata dal pluripremiato cioccolatiere Guido Castagna insieme a Giulio Marini e Sabino Maria Frassà, all’interno del progetto artistico BLOCCO, curato dallo stesso Frassà per il primo spazio milanese Cavea Marini della Marini Marni.
Lo spazio nel cuore di Milano (in piazza Missori, via Albericci 1) viene animato dall’esclusiva opera CAV(E)A non in vendita e realizzata in soli 100 esemplari, frutto dell’unione tra il design in Ceppo di Gré e il cioccolato. Un blocco di pietra scavato al centro si integra e completa con una grande pralina in cioccolato fondente 64% e nocciola Piemonte I.G.P.. Tra arte contemporanea, cioccolato e design, CAV(E)A completa il progetto artistico BLOCCO in modo multisensoriale, integrandosi con le sculture di Francesca Piovesan, tra pietra e fotografia, in mostra fino al 31 luglio.
“L‘idea è nata dall’analogia tra le pietre della Marini Marmi e l’arte a tutto tondo di Francesca Piovesan e di Guido Castagna – spiega il curatore Frassà -. Il Ceppo di Gré è una pietra naturale formatasi 600.000 anni fa, che si trova nella parte più esterna della montagna. All’interno, nel cuore della terra, vi è il pregiato Nuvolato di Gré, pietra “madre” compatta formatasi 200 milioni di anni fa. Allo stesso modo il genio di Castagna e di Piovesan hanno inteso e dato forma alla tensione in continuo divenire verso nuovi equilibri, tra esteriorità e interiorità, fulcro stesso del nostro vivere. Se Piovesan con la pelle, protagonista insieme alla pietra, delle sue inedite sculture ECO, racconta il “blocco” emotivo e la difficoltà di comunicare, Castagna ci invita a riflettere con cioccolato e nocciole sulla diversità che ci unisce e in fondo ci accomuna”.
L’intervento di Guido Castagna
“Il mio CAV(E)A racconta l’incredibile storia geologica del Ceppo di Gré e della famiglia Marini che lo valorizza sin dal 1897 – racconta Guido Castagna -. Sono partito dall’intuizione di Frassà di unire la pietra al cioccolato e dalla cromia del ‘corpo universale’ delle opere in mostra di Francesca Piovesan, per realizzare una rivisitazione in grande formato dell’antichissimo Cremino, inventato nella mia Torino nel 1858. Ho unito la nocciola Piemonte I.G.P al fondente 64%, dandogli un effetto di marmorizzazione non omogeneo. I 100 esemplari sono così tutti diversi, ma in fondo simili, come le pietre a cui si ispira e che racconta: diverse parti unite e cementate insieme formano una singolarità e un’unicità riconducibile a una chiara visione di insieme. Siamo tutti unici e irripetibili, ma profondamente simili e derivanti da una storia e da una stratificazione che risale fino alla notte dei tempi. Non mi spiace quindi pensare che tra gli infiniti usi che la parte in pietra potrà avere ci sia quella di contenere non solo la mia opera, ma anche una candela e dare luce e calore nelle case di chi condividerà il nostro progetto.”
Cavea Marini: cioccolato, pietra, arte
Al fianco dell’esperienza tra design e cioccolato resa possibile da Castagna, Cavea Marini ospiterà fino al 31 luglio le opere inedite di Francesca Piovesan, che non rappresentano mai la realtà, ma sono essi stessi scorci di realtà. Nelle sue opere c’è letteralmente il suo corpo: i grassi e i sali minerali dell’epidermide, reagendo con i sali d’argento, danno vita a opere fotografiche (off-camera, ovvero senza l’ausilio della macchina fotografica). Le opere sono così fotografie fatte di realtà, in cui la pelle, catturata e scomposta, ci porta a riflettere più che sulla forma – il corpo – sul contenuto – l’essenza stessa e l’interiorità.
Tutto nel nostro mondo ha una forma contenuta in qualcos’altro. Ogni cosa esiste in quanto ha una propria individualità, ovvero è separata dall’altro da sé. Il termine “blocco” indica così sia una grande massa uniforme (di pietra o di legno) che sembra inamovibile, sia l’atto forzato di fermare o essere imprigionato. Per tale ragione, in mostra sono presentate opere inedite del ciclo ECO, che raccontano questi due aspetti dell’essere solo a prima vista antitetici. Alle pareti della Cavea Marini sono posizionate due lavori – i più grandi mai realizzati – del ciclo “Aniconico“,presentato per la prima volta al Gaggenau di Roma nel 2021. A prima vista i due lavori bidimensionali sembrano mosaici in pietra. In realtà i tasselli sono frammenti di impronta del corpo dell’artista, che misura e registra con la propria epidermide il mondo esterno.
La fisionomia umana non è mai riconoscibile nella sua soggettività: riusciamo a scorgere nell’opera frammenti di una figura umana, ma non comprendiamo chi sia. Ci troviamo di fronte a geometrici “mosaici di corpo”, che a prima vista sembrano fatti di pietra simile al travertino. I tasselli in realtà derivano dalla mappatura del corpo realizzata dall’artista attraverso il contatto tra la propria pelle e il nastro adesivo. Il corpo sembra quasi scomparire, così scomposto in frammenti. Solo l’orecchio, l’organo con cui ci mettiamo in contatto con gli altri, rimane sempre riconoscibile e in evidenza.
I due nuovi grandi lavori presentati rappresentano un punto di arrivo della ricerca artistica di Piovesan, che cattura “in” e “attraverso” di essi la propria figura intera. Appare evidente in queste opere una forma di rielaborazione laica della geometria sacra – trasversale ai più importanti culti monoteisti; da sempre è la geometria a narrare la perfezione del “creato” qualora non si possa o voglia ricorrere a immagini figurative. In questi mosaici le ri-composizioni geometriche sono fatte di un corpo “universale” non (più) riconoscibile che richiama e tende a un nuovo ordine trascendente. È la straordinarietà di questa artista che riesce a impiegare l’epidermide umana per raccontare l’universalità a cui tendiamo. In fondo siamo tutti figli delle stelle. Siamo anche noi le stelle. Siamo noi con il nostro corpo l’opera d’arte.
ECO, le inedite “sculture fotografiche”
A contraltare dell’infinitezza in noi racchiusa, “Blocco” ospita anche le inedite opere scultoree “Eco” di Francesca Piovesan, realizzate con la pietra Ceppo di Grè spazzolata. L’artista ha scelto di impiegare questa pietra perché costituisce lo strato esterno della montagna, che custodisce, come lo fa la nostra pelle, un contenuto prezioso: il Ceppo è così inteso come la pelle della montagna, quel “sottile” strato che unisce il mondo esterno alle viscere della Terra, al Nuvolato di Grè. Non a caso la finitura scelta è la pietra spazzolata, che rende il ceppo poroso, come se fosse segnato da rughe e pieghe epidermiche.
Il nuovo ciclo di opere parte dalla celebre serie “Specchianti”, con cui l’artista catturava le impronte del proprio corpo su vetri che venivano poi specchiati. In “Eco” l’attenzione è posta su un altro aspetto della pelle, quello di essere strumento di “difesa” e forma di contenimento nei confronti di un mondo esterno, che molte volte non si comprende (più) pienamente. Il corpo si fa oggi pietra al fine di proteggersi. Tutto diventa stasi e quiete nell’immobilità.
Queste nuove opere sono ispirate al mito della Ninfa Eco che si consumò per l’amore non corrisposto nei confronti del bellissimo Narciso. Tale fu il dolore che di lei rimasero solo la voce e le ossa pietrificate. Gli specchi, impressi del corpo di Francesca, sono posti all’interno del guscio-corazza in ceppo di Grè, dando forma a un’eco infinita di caleidoscopici riflessi. Enigmatico, come sempre è il suo lavoro, Eco risulta un corpo in cui il dramma umano viene sublimato e regna il più totale silenzio. Di quell’amore così lontano rimane solo un ancestrale memoria, un bisbiglio infinito – sempre presente – in cui ci si perde.
L’opera si presta a infinite interpretazioni e suggestioni: innanzi tutto l’impiego dello specchio e dell’immagine riflessa portano alla mente l’innamoramento mortale di Narciso per la propria immagine riflessa, ma anche la profezia di Tiresia sul fatto che sempre Narciso sarebbe vissuto a lungo “se non avesse mai conosciuto se stesso”. Allo stesso tempo queste opere si mettono in dialogo con le sculture marmoree del Bernini: non solo e non tanto il corpo del Ratto di Proserpina quanto il capolavoro Apollo e Dafne realizzato dal Bernini nel 1625. Il corpo della Ninfa Dafne si trasforma in alloro, e quindi in pietra nelle mani dello scultore, per evitare di cadere vittima dell’amore non ricambiato per Apollo. Di nuovo il tema dell’amore sofferto, della difficoltà del dialogo con l’altro, onnipresente nella ricerca di Piovesan. L’opera del Bernini fu tra l’altro completata da un cartiglio moraleggiante che citava: «colui che ama e insegue i gaudi della bellezza fugace, colma la mano di fronde e coglie amare bacche».
L’installazione Blocco è l’occasione per conoscere e ri-comporre il complesso apparato di senso e contenuto della ricerca artistica di Francesca Piovesan: se il corpo è il fulcro e punto di partenza di ogni suo gesto artistico, il dialogo con la propria interiorità e con il mondo esterno sono il forte fil-rouge che negli anni ha accompagnato l’evoluzione dell’artista.
Il corpo nella sua individualità viene negato: esiste “soltanto” una materia universale, di cui siamo tutti fatti e in cui non possiamo che riconoscerci, ma esiste anche un’impalpabile individualità sofferta, profonda, difficile da scoprire e condividere con gli altri.
Le opere di Piovesan finiscono così per essere fonte continua di riflessione per ricongiungere e cicatrizzare queste ferite interiori, ma non sono né vogliono essere risolutive. Del resto, l’arte è intesa dall’artista quale strumento per misurarsi e conoscersi meglio… un viaggio al di là del “blocco” che non ha mai fine, ma che non possiamo che continuare a percorrere.