Quando l’artista trasforma il piatto

“Un piatto è il testimone della scena”. Ecco perché Vincenzo Del Monaco crea stoviglie d’autore

L'artista Vincenzo Del Monaco (foto Diego Mariella).

 

 

L’artista Vincenzo Del Monaco (foto Diego Mariella).

“Un piatto è come uno spazio urbano”, per lo scultore di Grottaglie, Ta, Vincenzo Del Monaco, che mette il design al servizio del tableware, in un percorso esplorativo che lo porta a diventare esponente della filosofia enogastronomica del ristorante e punto di riferimento di chef che vogliono piatti e supporti che dialoghino con il cibo.
Si parte da un tema narrativo per poi filtrarlo attraverso delle linee. L’artista spiega così la genesi di un piatto e il processo creativo. “In questo, mi aiuta la mia formazione di progettista. Quando mi viene chiesto di realizzare un piatto, apro il cassetto della mente, dove custodisco i segni artistici o naturali che hanno colpito la mia immaginazione, e inizio a sviluppare delle superfici, come fossero processi architettonici. L’esperienza fatta con Fuksas mi aiuta anche quando devo pensare agli aspetti tecnici del tableware, come l’impilabilità, il passaggio in lavastoviglie, le dimensioni da avere in relazione alla tavola, la dimensione ultima da soddisfare. È lì che il concetto astratto viene a incontrare la materialità della location”.

La collaborazione con gli chef

Tutto è iniziato con Andrea Berton, nel 2012. “Quando ha inaugurato il ristorante a Porta Nuova, Milano, mi ha indicato il parco di fronte, in cui emergevano linee sinuose, simili a dune del deserto, costruite da Cino Zucchi”. Mi ha detto: “Mi piacerebbe avere dei segnaposti simili”, da lì è nata l’idea di mettere in relazione l’oggetto e il paesaggio circostante.
Nell’ambito della sua recente collaborazione con lo chef stellato Antimo Maria Merone, presso Estro, ad Hong Kong, ha concepito un set di oltre 600 pezzi (tra piatti, ciotole, piattini porta olio e contenitore per caviale, posa posate e coppe di portata), interamente a mano in porcellana bianca. Le ciotole trilobate, in particolare, portano sulla tavola d’Oriente il concetto estetico mediterraneo. Non si tratta di piatti da fine dining, fa sapere l’artista, che menziona eleganza e leggerezza come concetti chiave, in sintonia con la proposta food, quindi “misure e proporzioni armoniose tra supporto e ricetta”, spiega Del Monaco.
Per Domingo Schingaro, chef stellato dei Due Camini di Borgo Egnazia, a Savelletri di Fasano, ha esaltato le tematiche della pugliesità attraverso la texture irregolare della pietra tufacea. Con il primo servizio di piatti “ricuciti”, sotto la regia di Pino Brescia (scenografo di Borgo Egnazia Hotel), ad interpretare i valori della cultura povera pugliese, inizia una vera collaborazione, la cui icona è il vassoio Puglia, supporto in legno sagomato che ricorda la forma geografica della Puglia e che ospita 6 contenitori (uno per ogni provincia) a cui appartiene una specialità tipica di ogni zona geografica.
Una collaborazione pop è quella con Floriano Pellegrino e Isabella Potì di Bros’, a Lecce: ha lavorato ai supporti per la piccola pasticceria al dessert, i piatti per i primi a ciotole e brocche monoporzione. Per Marco Marinelli e il suo nuovo Ognissanti a Trani, Bt, ha scelto un impasto differente dalla porcellana ovvero un semirefrattario con il suo colore naturale e trattato semplicemente con un rivestimento trasparente lucido materico rigorosamente apiombico.
Crypta è l’ultima sua sfida: un piatto shadow pensato per occultare il cibo alla vista, in un esercizio al pensiero dell’artista contemporaneo che ricerca il senso nell’opposto, anche nella provocazione.

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