
Se il mondo della ristorazione è tra i più colpiti dai danni economici di questa pandemia, il settore dell’arte dolciaria non è da meno
È di pochi giorni fa l’annuncio di Confartigianato rispetto a perdite, nel solo Piemonte, per 40 milioni di euro in un mese che riguardano pasticcerie e gelaterie. “È sicuramente una situazione difficile a cui nessuno di noi era preparato – spiega Giovanni dell’Agnese, vicepresidente Ascom Torino. La chiusura completa, dalla sera alla mattina, in un momento come la Pasqua che per noi rappresenta il 30% del lavoro dell’anno è un grande colpo per l’intero settore. Con l’arrivo della stagione estiva il lavoro della pasticceria decade per ripartire a settembre, ed è un danno gravissimo a prescindere da quello che si può provare a fare con il delivery, perché gli incassi saranno comunque ridotti. Il delivery deve essere visto come un’opportunità guardando al futuro, perchè siamo di fronte a un cambiamento epocale per il settore della pasticceria, della cioccolateria e del gelato: nulla sarà più come prima e bisognerà vedere cosa resterà, quelli che ce la faranno e chi non supererà la crisi. Il delivery, a mio avviso, è un mezzo per traghettare verso momenti migliori: festeggiare un compleanno, un matrimonio, una ricorrenza è praticamente impossibile. Occorre trovarsi e ipotizzare riunioni per mettere in campo idee o soluzioni o ci ritroveremo ‘bolliti’ senza essercene accorti”.
E a livello nazionale gli fa eco Gino Fabbri, presidente Accademia Maestri Pasticceri Italiani: “La decisione di dover chiudere le nostre attività in modo improvviso è stata un duro colpo, ma necessario anche perché non era più possibile sia economicamente che organizzativamente gestire il lavoro che era già diminuito di almeno 2/3. Il delivery attivato in vista di San Giuseppe e della Pasqua non è stato certo un guadagno, ma un modo per mantenere in moto il contatto con i clienti. Il dopo Pasqua è un grande punto di domanda: tutto è in stand by e non so cosa possa risultare se non un danno enorme a livello generale. Anche come rappresentante dell’AMPI vedo e sento che i colleghi sono tutti nella stessa situazione: parliamo di danno incalcolabile anche perché, oltre al mancato guadagno, c’è il fatto di aver avuto in casa imballi e materie prime per il periodo pasquale che rimarranno in magazzino fermi e chi potrà lavorare al Natale non avrà posto per mettere il necessario. Il mondo della pasticceria è un settore in cui gli ingredienti arrivano, si preparano i prodotti e si vendono, non c’è stoccaggio. Al di là dell’inevitabile discorso pessimistico, credo che dal punto di vista dell’ottimismo a volte, quando capitano queste situazioni molto dure e forti, possano nascere possibilità di reazione e idee che altrimenti non si sarebbero sviluppate. A oggi non so ancora quali possano essere, ma è certo che dovremmo ripartire con le maniche rimboccate, proprio come hanno fatto i nostri padri e i nostri nonni nel dopoguerra”.
“Oggi – prosegue Gino Fabbri – dobbiamo solo pensare di ricostruire e non puntare a essere i primi sulla piazza: l’importante sarà essere sul mercato e non trionfare; questo forse servirà a mettere in piedi un discorso di umiltà, che era venuta meno negli ultimi tempi. Il delivery, che chi possiede i codici Ateco idonei può realizzare, può essere un’aggiunta al nostro lavoro, ma non è una sostituzione anche perché le piattaforme, per consegnare, chiedono un costo molto alto che si aggira intorno al 30-35% della tua cifra. Purtroppo l’aggregazione diventerà ancora a lungo difficile, non ci saranno tavolate di amici, tutto sarà fermo, anche i grandi numeri legati ai matrimoni o alle celebrazioni. Dovremmo cambiare l’offerta che dovrà essere sempre più indirizzata a un consumo casalingo, magari pensando a pacchetti già studiati e utilizzati durante la settimana da parte del consumatore: biscotti, ciambelle, dolci con un indubbio ritorno delle torte da forno”.
E la pasticceria da ristorazione come sta vivendo le difficoltà e soprattutto come pensa di affrontare il futuro? Lo abbiamo chiesto a Domenico Di Clemente, pastry chef del Four Seasons di Firenze, ma anche portavoce del collettivo Pass121, che riunisce alcuni dei più illustri pasticcieri da ristorazione italiani: “Dopo Pasqua, con i miei colleghi del Collettivo, realizzeremo delle dirette Instagram per parlare di temi specifici e, ovviamente, tra questi ci sarà anche un confronto sul futuro di questo settore. Per quanto riguarda il mio lavoro al Four Seasons e, quindi al settore dell’hôtellerie, siamo in stretto contatto con lo chef Vito Mollica: la fortuna del nostro hotel è che gli spazi non mancano e quindi riusciremo a garantire le distanze che presumibilmente ci verrà richiesto di rispettare, ma certo è che occorrerà ripartire da zero, anche con un’offerta alberghiera che sia in grado di agevolare una clientela italiana, poiché di turisti stranieri per un po’ di tempo non ne vedremo. Non bisogna però sottovalutare il livello economico e sociale che questa pandemia porta con sé: se prima qualcuno si poteva permettere una volta al mese un ristorante stellato, io penso che d’ora in poi il valore della moneta sarà visto diversamente e forse saranno più avvantaggiati locali più facili da frequentare a livello di costi per un’uscita settimanale o mensile. Credo che, in generale, chi non cambierà offerta sarà egoista: tutti dovremo fare un passo indietro anche a livello di menù, magari proponendoli ridotti e senza una grande selezione, ma sempre nel rispetto di eccellenti materie prime e favorendo gli ingredienti italiani. La proposta dovrà essere diversa per venire incontro a una minor possibilità di spesa e, personalmente, penso che ancora più di prima lavoreremo nella ricerca delle materie prime andando direttamente dal produttore e cercando il km zero”.
Sarah Scaparone
In foto, Domenico Di Clemente, al lavoro durante l’evento “Cucina Dolce” a Torino, Giovanni dell’Agnese e Gino Fabbri.
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