Babà alla polonese
Alfonso D’Orsi
L’antica ricetta del Gugelhupf qui proposta nella variante “senza glutine”
Polacco, o per meglio dire “alla polonese”, è un termine con il quale in passato si usava identificare tutto ciò che proveniva della cultura prodotta da Prussia, Polonia, Austria e Russia. Un’etichetta usata nel costume e nella moda come ad esempio la Robe a la Polonaise: un particolare tipo di abito femminile in voga in Europa sullo scorcio del 18° secolo; ancora oggi esiste un tipo di tessuto di seta alla polonese caratterizzato da righe trasversali molto usato in tappezzeria. Il toponimo entrerà in uso anche nella letteratura gastronomica italiana dell’Ottocento per identificare quelle ricette recepite culturalmente come extra-territoriali anche se poi in realtà già innestate nelle cucine aristocratiche. Tra queste c’è il Babà alla Polonese di Giovanni Vialardi (1804-1872): una ricetta descritta nel suo “Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria”, pubblicato a Torino nel 1854. Si tratta di un impasto lievitato composto da: “butirro, farina, uova e zucchero fino, con l’aggiunta fior di latte, vino di Madera, uva di Corinto e zafferano”. Come si legge nel manuale, con lo stesso impasto Vialardi realizzava anche dei piccoli Babà ghiacciati al tè.
Difficile scappare oggi alla persuasione d’identificare in questa ricetta l’impasto che il gourmand francese Brillant Savarin userà per realizzare il famoso savarin: il dolce arrivava proprio dalla Polonia, avrà la stessa forma a ciambella ma con frutta al centro, con rum ma senza l’uva di Corinto e i canditi, conclamando così anche la nascita del Babbà napoletano. Ricetta sulla quale poi lavoreranno a Parigi i fratelli Julien alla fine del 19° secolo, ma questa è un’altra storia. La Francia è solo uno dei tanti esempi d’importazione. Nell’Ottocento alcune delle maggiori regioni d’Italia erano ancora “poliglotte”, soprattutto a tavola. Saranno tanti i cuochi italiani che partiranno pellegrini in Europa dell’est e in Russia ritornando poi in Patria con una formazione nuova ma ancora intrisa di regalità e sontuosità. Caso famoso quello di Francesco Leonardi – autore del “Apicio Moderno” e di un trattato di cucina cinese – che dopo aver operato a Parigi, nel 1803 afferma di essere in Austria al seguito del principe Soltikoff, nel 1804 a Napoli presso il duca di Gravina in qualità di maestro di casa, infine nel 1806 sembra rientrare a Roma dove assiste, quale scalco, l’imperatore d’Austria Francesco I in occasione della sua visita di stato.
Lo stesso Giovanni Vialardi lavorò per la casa reale Savoia come aiutante capocuoco di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II per diversi anni e molte sue ricette raccontano molto sui sapori e le tradizioni piemontesi, valdostane, nizzarde, genovesi e sarde, cioè tutte quelle aree che facevano parte del Regno di Sardegna. Per capire da dove Vialardi peschi questa ricetta, basta dare uno sguardo ai dolci tradizionali dell’Europa Orientale: qui troviamo il Babka (conosciuto anche come bábovka) una specie di torta della nonna impastata come le brioche e glassata in superficie preparata tradizionalmente in Polonia, Bulgaria, Macedonia, Romania e Albania in occasione delle festività. In sostanza nell’Italia culinaria preunitaria gravitavano ancora moltissime ricette di marca polacca e francese. Non a caso lo stesso Vialardi descrivendo la ricetta del Babà alla polonese aggiunge: “Si fa allo stesso il gâteau de Compiègne ma senza uva e cedrato”. La ricetta della torta denominata gâteau de Compiègne è francese, prende il nome dal luogo – Compiègne – famoso anche per gli omonimi cioccolatini (Piocantin) antropomorfi che richiamano le sculture dei pinnacoli della cattedrale gotica. La ricetta del Baba scritta da Vialardi con uvetta e ghiacciato al vino di Madera somiglia molto anche al noto Kugelhupf: un impasto lievitato e farcito aromatizzato al rum, di matrice tedesca ma famoso anche in Austria, Svizzera e Tirolo. Forse per il Vialardi i due dolci potevano essere “cugini”, simili per impasto e anche la forma “torreggiante” è la stessa ottenuta grazie alla cottura in stampi, forati al centro e scanalati nei lati, quelli antichi erano in rame ed erano citati in molti taccuini, i francesi li usavano per cuocere la torta Compiègne.
Oggi l’unica variante tra queste diverse ricette sta nella farcitura e nella preparazione che può essere fatta al modo classico, cioè a pasta lievitata, oppure a massa montata (Ruehrteig), ma che sia polacca, tedesca o austriaca poco importa giacché negli anni la ricetta si è mescolata ai nomi e ai territori dando origine a un delizioso dolce che sta alla base di tutte le ciambelle lievitate, alle “torte della nonna”, e oggi ancor più di ieri siede alle nostre tavole.
La mia ricetta
Tenendo come riferimento la ricetta originale del 1854 del Babà alla polonese, propongo una variante senza glutine modificando, inoltre, la quantità di alcuni ingredienti per meglio bilanciare l’apporto di grassi, eliminandone alcuni per personalizzarla al meglio. Pertanto l’uvetta e il cedro cedono il posto a piccoli pezzetti di fichi secchi e noci tritate. Per un impasto normale è possibile miscelare farina 00 e farina Manitoba, ma per un impasto naturalmente senza glutine, cercando di ovviare all’uso di fibre è possibile preparare una propria miscela di amido di mais e farina di carrube. In alternativa si può risolvere servendosi di un mix di farina senza glutine che si trovano in commercio.
mix farina senza glutine (amido di mais e farina di carrube) g 600
sale g 15
burro g 150
uova g 120
zucchero semolato g 120
latte intero L 0,250
lievito di birra g 30
vino di Madeira L 0,050
zafferano g 2
fichi secchi g 150
noci pecan g 150
aroma cannella
Miscelare l’amido con la farina. In una terrina a parte unire il burro morbido con zucchero e le uova e incorporare il latte in cui avrete fatto sciogliere in precedenza il lievito. Aggiungere la miscela di farine e impastare. Incorporare tutti gli altri ingredienti finendo l’impasto. Riporre nel classico stampo gugelhupf e far lievitare per circa 30 minuti nel forno acceso a 35°C. Infornare a 180°C per circa 30 minuti. Può essere servito a fette e dolcificato con sciroppo d’acero.
Alfonso D’Orsi
dorsialfonso@gmail.com