La maison del Levriero apre le porte alla cucina di Andrea Berton, consacrando il binomio haute couture e haute cuisine
Quando l’eleganza e la classe di una grande maison di moda incontrano l’estro e il rigore di uno chef stellato, nasce il ristorante Trussardi alla Scala (www.trussardiallascala.com). Sito al primo piano dell’omonimo palazzo, il locale si affaccia, grazie alle ampie finestre, su Piazza della Scala, Milano. L’ambiente, accogliente e suggestivo – grazie al colore rosso che domina le pareti in stucco, al parquet in legno, alle poltrone in pelle rossa e al bianco della mise en place – fa da cornice alla cucina high-tech, a vista: un unico blocco in acciaio, divisa dalla sala da una parete di vetro che permette un diretto coinvolgimento. Anche la cantina, che domina il salottino posto in un angolo riservato del ristorante, è a vista, con una selezione di oltre 500 etichette. Protagonisti di questo “tempio”, divenuto punto di riferimento nel panorama della ristorazione italiana, sono il marchio Trussardi e lo chef Andrea Berton. Un professionista la cui cucina si basa sulla scelta rigorosa delle materie prime, su cotture brevi, su basi leggere e profumate, su abbinamenti stimolanti che mantengono i sapori definiti. Una ricerca nella quale la tradizione convive con l’innovazione, la passione con il rispetto degli ingredienti, e il rigore con la creatività, come dimostrano molte delle sue proposte: noci di capesante alla plancia con polvere di zenzero e crema di arachidi; riso mantecato alla milanese con animelle di vitello dorate; gamberi rossi con asparagi verdi e schiuma di crostacei; sella di capriolo con zucca gialla, gelatina al whisky e salsa civet; terra di cioccolato con sfera calda al cioccolato e crema al caffè. Dopo lo shooting fotografico dei piatti che lo chef ha preparato per “Pasticceria Internazionale”, prende forma intervista.
Poche parole per descrivere Andrea Berton chef.
Un ricercatore del gusto, attento a valorizzare il piacere della tavola, sviluppando sviluppare una cucina che susciti curiosità e che, allo stesso tempo, identifichi in maniera diretta quello che c’è nel piatto.
Tradizione o innovazione: da che parte ti schieri?
Perché vi sia innovazione è necessario avere una buona conoscenza della tradizione: questo è il punto di partenza. Non vi è uno schieramento definito: la tradizione è necessaria per innovare e rendere attuale quello che si sta facendo. In un certo modo si compensano.
Sperimentazione, esplorazione: fin dove si può arrivare?
Nel nostro settore molte sono ancora le cose da scoprire e per quanto riguarda l’innovazione è giusto che stia al passo con i tempi e con le abitudini alimentari. Più c’è questo tipo di attenzione più la cucina si evolve, divenendo un piacere, da un punto di vista edonistico e culinario. La sperimentazione è utile ma è necessario non esagerare, usando le dovute attenzioni con un’ottima conoscenza di base. Noi operiamo una sperimentazione interna che proponiamo solo quando siamo certi del risultato.
La cucina, oggi, si può definire scientifica?
Lo è sempre stata. Quando si realizzano dei piatti si mette in funzione un procedimento che è strettamente scientifico e di precisione: quantità, pesi e tarature devono essere rispettate.
Si è parlato negli anni di cucina destrutturata, di cucina molecolare: ora si parla di cucina tecno-emozionale. Come definisci la tua?
Passionale ed emozionale.
Il ristorante ha aperto nell’estate 2006: da allora sono arrivati il riconoscimento della guida dell’Espresso quale miglior novità 2007, la stella Michelin e il premio Veronelli quale miglior chef emergente. Cosa rappresentano?
Sono riconoscimenti importanti, che ci lusingano e stimolano a migliorare ulteriormente, proseguendo sulla strada intrapresa e mantenendo sempre costante lo standard qualitativo. Sono soddisfazioni enormi che premiano i risultati di un lavoro d’equipe impeccabile, e generano un entusiasmo volto a realizzare nuovi obiettivi.
Quali cambiamenti hanno portato?
Modifiche che sono servite a migliorarci. “Quello che facevamo bene ieri, è da fare meglio oggi”: questo il pensiero alla base del nostro lavoro.
Questi riconoscimenti permettono di sfatare il luogo comune per cui il connubio moda-cucina è solo un trend passeggero e velleitario?
Lo abbiamo sfatato, dimostrando che il sodalizio tra l’alta moda e la cucina di alta qualità è una strategia vincente che consente ad entrambe una valorizzazione reciproca. Un’operazione resa possibile grazie al gruppo Trussardi che ha investito e creduto nel progetto. Il Ristorante Trussardi alla Scala non è un locale modaiolo, ma un progetto a lungo termine, che richiede costanza e continuità, soprattutto nella qualità, nell’offerta e nell’attenzione al cliente.
Oltre ad essere executive chef del ristorante sei anche il direttore: perché questa scelta e come fai a conciliare le due attività?
Oggi lo chef ha le capacità e la preparazione per la gestione completa di un ristorante. Erano anni che aspettavo quest’occasione: la scelta è maturata con calma e in modo naturale. Il doppio ruolo mi consente di impostare una linea guida improntata sulla mia personale filosofia di cucina, in modo da dare al ristorante una precisa identità. Questo è possibile solo grazie a collaboratori di grande qualità, come Alfio Ghezzi, in cucina, e Luciano Racca in sala, che mi affiancano e supportano.
Dolce, amaro, salato, acido: cosa preferisci e come si mescolano?
Voglio che i miei piatti siano contraddistinti da una punta d’acidità, elemento in grado di conferire personalità e individualità ad ogni ricetta.
Nella tua cucina è più il dolce ad aver contaminato il salato o viceversa? Esiste un punto di incontro tra i due, e se sì, in cosa si concretizza?
A prevalere è il salato, che preferisco al dolce, in quanto mi consente di raggiungere un equilibrio e una freschezza particolari. Il connubio di entrambi, comunque, non solo è accettato, ma è richiesto, da una clientela sempre più esperta. Il nostro Mojito Frozen, che ha riscosso un grande successo, ne è un esempio: sul gelato al rum ho aggiunto il sale Maldon che, con la sua sapidità, ha contrastato la dolcezza del liquore e del limone, enfatizzandone il gusto. Una soluzione ben combinata, dai contrasti apparenti e calibrati.
Che importanza assume il dessert nella tua cucina?
Fondamentale: è l’ultima portata ed ha il compito di ricordare il percorso di un intero pasto. Se non è di qualità svilisce il valore del resto. Inoltre non deve dominare con sapori troppo intensi e non deve essere stucchevole. Non amo i dolci particolarmente zuccherati e cerco di sfruttare al meglio gli zuccheri della frutta. È importante l’equilibrio dei sapori, che si affianca allo studio e alla ricerca del menu e delle corrispettive ricette.
Come ricerchi l’equilibrio in un dolce?
Terra di Cioccolato è il dessert di solo cioccolato per coloro che amano questo ingrediente. La maggiore difficoltà, per non renderlo pesante, è stata trovare il giusto equilibrio tra sapori e consistenze. Giocando con queste ultime abbiamo inserito l’elemento croccante, gelato, cremoso abbinandole a toni di sapori differenti per un risultato equilibrato e stimolante. Un piatto con queste caratteristiche racchiude in sé evoluzione, ricerca e attenzione nei confronti degli ingredienti.
E la piccola pasticceria?
È il piacere di completare un pasto, un’aggiunta che ritengo importante e che porta il marchio del ristorante. Un’attenzione ulteriore nei confronti del cliente.
La carta dei dolci è curata separatamente o insieme al resto del menu?
Dall’antipasto al dolce, tutto è in progressione e contemporaneamente. L’intero menu ha una sua logica precisa e funzionale, legata alla stagionalità, alla ricerca, al momento. Ogni piatto è pensato in funzione del precedente e del successivo, in una concatenazione ad incastro equilibrata e calibrata. Un procedimento che caratterizza il nostro modo di fare cucina, così come le nostre ricette che diventano, a loro volta, un tratto distintivo del locale e della nostra filosofia.
Quali sono le vostre proposte di fine pasto?
Cerchiamo di diversificare il più possibile, in modo da soddisfare le esigenze di tutti. Le 7 o 8 scelte che abbiamo in carta, divise in dessert freddi e caldi, vanno dal dolce al cioccolato a quello alla frutta, dal soufflè al gelato. L’offerta per questa stagione spazia dal Rabarbaro, pesca in gelatina, croccante alla fragola con gelato vaniglia al Cannolo croccante con spuma all’aceto balsamico e formaggio primo sale alla frutta secca; dal Pane dolce all’olio, cremoso di cioccolato al latte, yogurt, sorbetto alla banana e muesli al Tiramisù cremoso nel bicchiere; dal Sigaro di cioccolato al tabacco con caffè, granita alla vodka e limone al Pane alle spezie, zabaione al cocco e composta di ciliegie. Il soufflè allo zafferano con gelato al parmigiano e vaniglia e la Terra di cioccolato con sfera calda al cioccolato e crema al caffè completano la carta dei dessert.
Cosa prediligono i clienti?
Piace molto il nostro tiramisù, l’esempio di una ricetta “ripensata”: alla base abbiamo mantenuto la crema di mascarpone, sopra la quale è posato il biscotto croccante. A seguire, in successione, il caffè, in forma di spuma tiepida, e il cacao che, invece di essere spolverato è divenuto un croccante che chiude il bicchiere di vetro a forma di sfera. Una ricetta che ci accompagna dall’apertura e che, in parte, identifica e caratterizza il nostro percorso: ingredienti originali presentati sotto diversa forma.
Negli ultimi mesi hai partecipato ad eventi e congressi di fama nazionale e internazionale con proposte “interessanti e trasformiste”: penso ad esempio alla lasagna, un piatto tradizionale che hai scelto di modificare. Come ci sei arrivato?
L’idea era quella di stravolgere il concetto di base di questo piatto servito caldo: un primo che, sin da bambino, non ho mai amato per la sua consistenza e il suo apporto di grassi. Partendo dalla considerazione che, con gli amidi del riso si potevano ottenere risultati interessanti, abbiamo provato a rivisitare la ricetta con l’obiettivo di mantenere inalterato il sapore originale. Il ragù è stato frullato, ottenendo, grazie all’azoto liquido delle piccole sfere, che abbiamo inserito tra le sfoglie di riso e la besciamella, fatta con brodo di carne e olio extravergine di oliva. Il tutto servito freddo. Un esperimento che ci ha permesso di lavorare sulla forma, sulla consistenza e sulla temperatura creando un piatto che non solo mantiene intatto il gusto, ma è pura esperienza sensoriale ed emozionale.
Cosa significa trasformare una ricetta in chiave moderna?
Offrire stimoli nuovi, sia a chi lavora con me che al cliente, soddisfatto dell’attenzione a lui riservata.
Il tuo curriculum vanta esperienze accanto ai grandi nomi quali Marchesi e Ducasse: cosa conservi di ognuno di loro e cosa ti hanno insegnato?
Da Marchesi, con il quale ho iniziato, ho appreso il rispetto per la materia prima, l’essenzialità e l’identificazione del gusto. Ducasse, invece, mi ha insegnato il rigore, l’organizzazione e la disciplina.
Come vedi la cucina nei prossimi dieci anni?
Negli ultimi anni la cucina ha subito una profonda trasformazione assumendo un ruolo importante nel panorama internazionale. Il prossimo decennio sarà caratterizzato da una cucina di alta qualità, sempre più digeribile e facilmente accessibile a tutti.
Progetti futuri?
Migliorarci ulteriormente dimostrando che il nostro lavoro è in grado di apportare contributi importanti a livello gastronomico, turistico e culturale. Inoltre cercheremo di farci conoscere all’estero, abbandonando il provincialismo che spesso ci contraddistingue.
Monica Onnis
L’articolo, con intervista allo chef Andrea Berton del Ristorante Trussardi alla Scala di Milano, a cura di Monica Onnis, è pubblicato su “Pasticceria Internazionale” n. 213, pag. 214.